Come/perché hai deciso di dedicarti a questo mestiere?
Per tutta l’infanzia, mio padre, che era ingegnere, mi ha ripetuto che avrei dovuto fare il notaio. Col tempo invece si è limitato a farmi capire che effettivamente avrei potuto fare quello che volevo, a patto però che non avessi scelto di fare l’architetto. E questa fu la prima ragione. La seconda fu la visita, sempre in età adolescenziale, a una grande mostra di Andrea Palladio a Vicenza dalla quale uscii con il catalogo in mano, e appena arrivato a casa incominciai a ricopiare capitelli e trabeazioni. Questa passione la sviluppai anche appena laureato collaborando al corso di letteratura architettonica dell’Università di Firenze del professor Morolli, recentemente scomparso, nel quale, sostanzialmente, si dibatteva e si analizzava il linguaggio classico dell’architettura nell’interpretazione dei maggiori trattatisti, da Vitruvio all’Alberti, al Vignola. Per qualche anno mi sono dedicato unicamente a questa mia passione, ho conseguito un dottorato in storia dell’architettura e prodotto parecchie pubblicazioni tematiche tenendomi a rispettosa distanza dalla professione. A parte questo, la vera ragione della mia scelta da ragazzo risiede nel fatto che ritenevo l’architetto l’unica professione che mi avrebbe permesso di sopravvivere facendo qualcosa di artistico e di creativo. E così è stato, fortunatamente, fino a oggi.
Quali sono le piccole soddisfazioni che riesce a darti?
Le soddisfazioni sono direttamente proporzionali alle preoccupazioni iniziali: qualunque progetto ambizioso si riesca a completare ripaga, in genere, con grandi soddisfazioni. Le più grandi fino a oggi sono il restauro e il completamento della chiesa Parrocchiale di Osteria Grande, incompleta in alcune parti di ornato, e danneggiata dal sisma del 2003, nella quale ho potuto misurarmi con tecnologie all’epoca avveniristiche come le fibre di carbonio. Il restauro è stato inaugurato dal Cardinale Caffarra che si è dovuto anche “subire” una conferenza di un paio di ore sulle tecnologie e le scelte adottate, cosa che, a giudicare dall’attenzione prestata, credo lo abbia anche divertito. La soddisfazione più eclatante, anche se in misura più modesta come tipo di intervento, ma altamente simbolica per me, è stata la presentazione di un mio libro sugli ingressi monumentali del classicismo in un auditorium da me realizzato, presso la sede della Faac di Zola Predosa. La cosa ha reso contemporaneamente onore a entrambe le mie grandi passioni: la storia dell’architettura e la progettazione architettonica. Una soddisfazione ancora più sottile ma più frequente deriva dai buoni rapporti che in genere mi capita di instaurare con i miei clienti i quali, diventando il più delle volte dei veri e propri amici, mi invitano a cena nelle case che ho realizzato con loro. Condividere con loro gli spazi mi fa capire, soprattutto a distanza di anni, se ho centrato o meno l’obiettivo, e soprattutto, forte anche della scarsità di memoria che mi contraddistingue, riesce a farmi scoprire particolari che non so mai se siano stati effettivamente pensati o frutto del caso, ma che in genere mi stupiscono sempre.
Quali sono gli odori che caratterizzano il tuo mestiere? Quali i colori?
L’odore piacevole di quando apro un cassetto di matite che mi riporta immediatamente all’infanzia scolastica. Gli odori sgradevoli delle murature bagnate a seguito di una demolizione. Perché ogni demolizione, anche se programmata, è sempre una sconfitta. Sui colori e sull’importanza degli stessi si potrebbe disquisire per ore essendo parte predominante della mia ricerca espressiva. Posso solo dire che ho capito l’importanza del loro utilizzo nei luoghi di lavoro, come siano in grado di fare sentire a proprio agio le persone che in quei luoghi vi stazionano per un terzo della loro vita.
Cosa non deve mai mancare nella tua “cassetta degli attrezzi”?
A livello teorico non deve mai mancare la “santa pazienza”, indispensabile nel dialogo coi clienti, con gli amministratori, coi costruttori. A livello pratico il fido taccuino Moleskine (mi si permetta la pubblicità essendo la proprietà tra i miei più cari clienti) sui quali oltre alle incombenze e agli appuntamenti mi sfogo disegnando tutte le ville e le costruzioni complesse che vorrei realizzare.
Quali sono le persone che ti permette di incontrare/conoscere? Ce n’è una che ricordi in particolare?
Non so se sia una fortuna o una disgrazia, ma mi rendo conto che parlo ininterrottamente da quando mi sveglio a quando mi spiaggio stremato, a sera, sul divano di casa. Credo molto di più nella comunicazione verbale che nei disegni impeccabili, e spesso mi tocca decidere in pochi attimi come “aggiustare” qualcosa che era stato a sua volta perfettamente progettato nel silenzio dello studio, ma che in cantiere non torna. Mi piace quando riesco a crearmi un ambiente favorevole sul lavoro, soprattutto con gli esecutori, in genere artigiani che, se appassionati del proprio mestiere, possono insegnarmi di tutto. È paradossale, ma fin dai miei esordi mi sono trovato a spiegare agli esecutori come fare le cose, come muovere le mani, quali fossero le successioni degli interventi per arrivare a un risultato. La cosa più buffa è che io, con le mani, riesca, a stento, a gonfiare la ruota della bicicletta. Pur non avendo alcuna capacità di esecuzione, sono in grado di spiegare a tutti, credo in maniera semplice, quali siano le mie esigenze sull’opera finita. Poi credo nella capacità degli altri e devo dire che in questi 25 anni di esperienza io abbia ricevuto enormi soddisfazioni. Persone ‘importanti’ ne ho incontrate parecchie e devo dire mi sono quasi sempre stupito della loro essenziale semplicità, al di fuori dagli schemi e dall’aspetto. Quando entri in casa loro, diventi per un periodo parte integrante della famiglia e consulente globale anche su scelte che nulla hanno a che fare con la architettura, spaziando dalla moda ai vini da abbinare ai cibi. Colui che mi ha dato di più, voglio ricordarlo ancora, è il professor Gabriele Morolli, che mi ha ‘forgiato’ a sua immagine e somiglianza e quando ha capito che avevo più voglia di fare l’architetto che lo storico, mi ha incoraggiato ad andare per la mia strada trasformandosi da “maestro” in amico insostituibile, quasi un fratello maggiore. Poi, naturalmente, mio padre. Da bambino quando mi portava con lui che si occupava delle grandi bonifiche del dopoguerra, assistevo al rapporto che aveva con i suoi collaboratori e i suoi operai, un rapporto sempre cordiale, sincero e rispettoso, da entrambe le parti. In questi anni ho cercato di replicare quell’atteggiamento e ne sono stato ampiamente ripagato.
Un episodio in cui hai pensato “chi me l’ha fatto fare?”
Partendo dal presupposto di essere, quanto meno, una persona cauta, sono uno che si spaventa davanti alle difficoltà, soprattutto a quelle di natura strutturale, dove solo i miei fidati ingegneri possono rassicurarmi. Del resto, ho capito che qualsiasi sfida, per ambiziosa che sia, va affrontata, e che dal particolare si arriva al generale, così come dal piccolo si passa al grande. La spirale del DNA ha la stessa forma delle infinite galassie, un progetto enorme è composto da tanti progettini atomizzati che concorrono al tutto. L’importante è il metodo che deve essere sempre lo stesso.
Il momento della giornata lavorativa che ti godi di più.
Quello in cui posso, ordinatamente, dedicarmi a qualcosa senza pensarne altre dieci contemporaneamente; purtroppo accade di rado.
In due parole, come definiresti il tuo mestiere?
Lucidi segni.
Un consiglio a chi vuole fare questo mestiere.
Raccomando a tutti di studiare la storia dell’architettura e di disegnare le cose che piacciono semplicemente ricopiandole. Questo aiuta a comprendere il senso delle proporzioni e ad accorgersi di particolari che anche all’esame più attento possono passare inosservati. Questo esercizio va fatto anche in fase di progettazione. Non c’è quasi niente che non sia già stato pensato da qualcun altro e non c’è niente di male a ispirarsi, soprattutto se il progetto è ben congegnato. Poi sta alla sensibilità del singolo mischiare le varie informazioni e riformularle secondo il proprio gusto. Poi, mi permetto di ricordare e di valutare con rispetto quanti ci hanno preceduti. L’opera di chi è venuto prima di noi, anche se insignificante, può raccontare qualcosa della nostra storia e ricordare che ogni qualvolta si cancella una traccia, lo si fa per sempre. Comunque mi sento di consigliarlo a un giovane. Di sicuro è un gran mestiere, e mi ritengo molto fortunato.
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Qui il sito internet di Carlo Nocentini